I numeri del Ponte sullo Stretto di cui nessuno parla:
Dopo anni di polemiche, di progetti, di dichiarazioni programmatiche dei vari governi che si sono succeduti, sul Ponte sullo Stretto di Messina cala definitivamente il sipario. Avviata la liquidazione della società, vengono risolti i contratti ancora in essere e si interrompe l’enorme flusso di fondi che da Roma ha alimentato per tutti questi anni sprechi, polemiche ed illusioni.
Una decisione irrevocabile, frutto della mancanza di qualsiasi visione strategica nel nostro Paese sulle grandi infrastrutture e segnale inequivocabile di un sistema intermodale dei trasporti inesistente, vittima della condanna alla perifericità perenne emessa nei confronti della nostra terra. Oggi però non è tempo di polemiche, ne di dibattere sulla validità o meno dell’infrastruttura, visto che la decisione è stata già presa; molto più interessante parlare di cifre per capire cos’è accaduto in questi anni e cosa accadrà a partire da domani, quando inizieranno le rescissioni dei contratti e le relative liquidazioni.
Innanzitutto i costi sostenuti per la vita della società fino al 30 dicembre scorso: 300 milioni di euro, una cifra superiore, solo per fare un esempio, all’intero ammontare del finanziamento pubblico ai partiti di cui tanto oggi si parla; di questi gran parte se ne sono andati per mantenere i 43 dipendenti ed i componenti del consiglio d’amministrazione. Ma anche per alimentare un fiume inarrestabile di consulenze e privilegi, culminati con l’affitto della sede romana, nei pressi della stazione Termini, il cui costo annuo era di 600.000 euro; una fontana cui si sono abbeverati tutti i partiti dell’arco costituzionale, sia quelli che a favore del Ponte si dichiaravano, sia quelli che contro il Ponte di giorno facevano manifestazioni, ma di notte non disdegnavano di segnalare nomi di neo assunti, consulenti e progettisti vari.
Ma lo spreco legato al Ponte non finisce qui; anzi il meglio deve ancora venire. Saranno infatti ben 45 milioni gli euro che lo Stato dovrà risarcire alla Eurolink, il cui 45% è posseduto da Impregilo, per la mancata sottoscrizione dell’accordo aggiuntivo sula fattibilità dell’opera. Un finanziamento che dovrebbe risarcire la società vincitrice della gara per le spese già sostenute, sempre che si riesca ad evitare di pagare la super penale da 312 milioni di euro contenuta nel bando di gara qualora lo Stato si fosse pentito, come accaduto, di realizzare l’opera. Quindi il costo finale per il Ponte mai costruito sarà, nella miglior delle ipotesi di 350 milioni di euro, con una previsione massima, addirittura di 612 milioni di euro.
Alla fine della fiera a guadagnarci, come nella migliore tradizione italiana, sarà stata soprattutto Impregilo e la sua cordata, riunita in Eurolink, che senza aver mai eseguito i lavori previsti si porterà a casa quasi 90 miliardi di vecchie lire; con buona pace di quanti continuano a gridare agli sprechi e ad additare i costi della politica come la causa principale dello stato in cui siamo ridotti. Purtroppo sono gli stessi che non si accorgono di cosa accade intorno, tra le pieghe dello stato, tra le mille inefficienze di cui mai nessuno parlerà. E’ lo specchio di un paese ferito, umiliato e spesso anche deriso dalla comunità internazionale. E l’immagine di un mezzogiorno e di una Sicilia violentata da un fiume di denaro che avrebbe dovuto trasformarla in una moderna California ed invece è servito solo ad arricchire i soliti noti e le solite grandi imprese del Nord.
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