La Gambaro si rimetta alla Rete:
di Anna e Paolo Becchi
Nei prossimi giorni i giornali grideranno allo scandalo per il “caso” della Senatrice Gambaro. Dopo la comunicazione annunciata da Crimi e Morra della prossima riunione del gruppo parlamentare del M5S per valutare la «proposta di cessazione dell’appartenenza al gruppo parlamentare» si tornerà – su stampa e televisioni – ad accusare il M5S di assenza di democrazia interna, e Grillo di essere un “dittatore” che non ammette, all’interno del “suo” movimento, né opposizioni né dissensi. Ma cosa c’entra la democrazia interna al MoVimento con il “caso” Gambaro? Non c’entra nulla. Ripercorriamo brevemente i fatti.
La Senatrice, eletta nelle fila del M5S, rilascia un’intervista in televisione nel corso della quale dichiara che «il problema del Movimento è Beppe Grillo» ed aggiunge: «stiamo pagando i toni e la comunicazione di Beppe Grillo, i suoi post minacciosi, soprattutto quelli contro il Parlamento. Mi chiedo come possa parlare male del Parlamento se qui non lo abbiamo mai visto». Si tratta di dichiarazioni politicamente molto decise, di una presa di posizione chiara e radicale contro Beppe Grillo, che è e resta il capo politico del MoVimento.
La domanda, allora, non è se nel M5S vi sia spazio per il dissenso, la dialettica interna, la critica, quanto piuttosto il chiarire una volta per tutte la questione fondamentale del rapporto tra capo politico, MoVimento e gruppi parlamentari. La Senatrice non ha espresso dissenso verso questioni politiche discusse dal gruppo, ma ha indicato in Grillo la causa della perdita di consensi del MoVimento nell’ultima tornata elettorale. Ora, la Senatrice avrebbe potuto esprimere chiaramente la sua critica all’interno del gruppo e invece ha deciso di farlo pubblicamente in un’intervista televisiva concordata, proprio quando il giorno prima in una lunga riunione congiunta dei gruppi di Camera e Senato si era sottolineata l’importanza di evitare di dare in pasto opinioni di dissenso ai giornalisti, sempre pronti a contribuire al gioco del massacro. La Senatrice, insomma, è andata contro un principio etico valido per qualsiasi forza politica, il quale impone la lealtà verso i propri compagni e il rispetto delle decisioni prese insieme.
Ma vi è un aspetto ulteriore e decisivo per il M5S: una portavoce non può parlare a titolo personale. La differenza sostanziale tra il MoVimento e i partiti politici tradizionali consiste nel fatto che deputati e senatori sono infatti solo i portavoce del MoVimento nel Parlamento. La questione cruciale allora è anche se con quello che la Senatrice ha detto abbia espresso la voce del MoVimento. Lei non ha violato in modo esplicito regole del Codice di comportamento, ma ci sono regole più alte di quelle scritte nei codici: ha violato la fiducia che il MoVimento aveva riposto in lei.
Alla decisione di indire una riunione dei parlamentari 5 Stelle per decidere della proposta di espulsione si è giunti dopo che Grillo aveva invitato la Senatrice a uscire dal M5S e Adele Gambaro, dopo aver detto di voler valutare se andare al Gruppo Misto, aveva dichiarato: «Non ho assolutamente intenzione di passare al Gruppo Misto. Io sono ancora nel M5S e ci rimango finche’ non dovessero decidere di espellermi». Questo muro contro muro non ha alcun senso, se non quello di danneggiare ulteriormente l’immagine del MoVimento. Se un membro del gruppo parlamentare del M5S non condivide più le scelte del suo capo, con cui il MoVimento continua a identificarsi, non si capisce la ragione per la quale non dovrebbe spontaneamente dimettersi. La stessa Senatrice Gambaro, del resto, aveva qualche mese fa dichiarato: “Penso ad un Parlamentare che nel caso non fosse più in sintonia con il M5S, grazie al quale è stato eletto, la sua base, i suoi principi, semplicemente si debba dimettere”. E ora si presenta in televisione, da sola, attaccando il capo del MoVimento e dichiarando che non se ne andrà.
È sotto gli occhi di tutti che le dichiarazioni della Senatrice hanno leso non solo Beppe Grillo ma l’immagine del Movimento 5S in quanto tale. Ed è dunque il MoVimento che deve decidere sulla espulsione della senatrice. Se in qualsiasi modo i gruppi parlamentari impedissero o bloccassero questo rinvio al MoVimento, si esporrebbero ad un fatto gravissimo che metterebbe in questione un principio fondante: il MoVimento è “tutto” e loro sono solo i “portavoce”.
Si vorrebbe sempre evitare un’espulsione, una decisione in ogni caso difficile e sofferta, ultima ratio a cui ricorrere. Eppure è la Senatrice Gambaro ad avere imposto questa scelta, e hanno ragione Crimi e Morra a rammaricarsi del fatto che «invitare alla coerenza e al rispetto del patto elettorale sul quale si fonda ogni responsabilità politica nei confronti dei cittadini, sia per alcuni così impegnativo da rispettare». Qui non c’entra la democrazia interna, ma il fatto che la Senatrice, per usare le sue parole, non è più «in sintonia con il M5S.»
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