Penisola Vendesi, vista mare.:
di Valerio Valentini (@valentinivaler)
Se non fossero un insulto alla Costituzione, i commenti estasiati con cui i trombettieri quirinalizi esaltano la condotta “coraggiosa” e “generosa” del Capo dello Stato risulterebbero quasi esilaranti. Gli Italiani hanno sempre bisogno di riporre la propria fiducia nell’uomo della provvidenza di turno, così da potersi sgravare la coscienza dai propri doveri civici, e aspettare che passi la nottata. E stampa e televisioni si adeguano: Giorgio Napolitano, ormai, è già leggenda. Un idolo delle folle; un monumento alla nazione in carne ed ossa; il nuovo salvatore della patria.
L’intero primo settennato di Giorgio Napolitano è stato costellato da atti e decisioni ai limiti dell’incostituzionalità. Ma, a parte le solite pochissime eccezioni, nessuno si è sentito in dovere di azzardare mezza sillaba di critica. Non quando il Capo dello Stato approvava le spedizioni punitive del Csm contro quei magistrati, tipo Forleo e De Magistris, che osavano condurre indagini un po’ troppo scomode. Non quando firmava, con mano felpata, le leggi oscene e incostituzionali volute da Berlusconi. Non quando, con la scusa grossolana di tutelare le prerogative del Presidente della Repubblica, attaccava la procura di Palermo rea di non aver previsto che un indagato in un’indagine che riguardava la trattativa tra Stato e Mafia potesse chiamare il Colle, e ricevere per giunta risposta. Non quando dispensava grazie come cioccolatini, al direttore del Giornale Sallusti e all’agente americano della Nato Joseph Romano, appena poche settimane dopo le condanne sancite dai tribunali. Non quando accettava le dimissioni di Monti in un colloquio privato, anziché spedirlo a farsi sfiduciare dalla Camere.
Dopo la rielezione di Napolitano, però, osservatori e commentatori, editorialisti e opinionisti, sembrano davvero esser caduti in preda a un delirio di venerazione. Non soltanto, infatti, si profondono in lodi e salamelecchi ad ogni gesto che il Capo dello Stato accenna, ma addirittura lo incitano ad agire da vero monarca, tributandogli osanna preventivi. Emblematica, in questo senso, l’articolessa settimanale di Eugenio Scalfari (considerato un oracolo, non solo dalla nomenclatura di sinistra), di cui già il titolo era a dir poco imbarazzante: «Solo lui può riparare il motore imballato». Ecco quanto scrive Scalfari, elogiando quel gran genio del suo amico Giorgio: «Adesso Napolitano farà un governo» che «seguirà le indicazioni di scopo che il Capo dello Stato gli affiderà in parte già contenute nel documento dei “saggi” […]». Della serie: come concentrare il massimo dell’incostituzionalità nel minimo delle righe. Scalfari dovrebbe ricordare, e insieme a lui i molti che continuano ad inneggiare al “governo del Presidente” e al “programma dei saggi”, che il Capo dello Stato non può “fare” nessun governo. Può soltanto (art. 92) nominare il Presidente del Consiglio “e, su proposta di questo, i ministri”. Né tantomeno può interferire nella scelta del programma del governo: al massimo può esprimere delle indicazioni, ma non può imporre all’esecutivo le ricette (tra l’altro discutibilissime) di dieci perfetti signor nessuno.
Semmai, c’era da chiedersi se Napolitano potesse davvero nominare le due commissioni di saggi. L’articolo 87 della Costituzione, infatti, stabilisce che il Capo dello Stato “nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato”. Ora, non si capisce quale legge preveda la creazione di commissioni di saggi per suggerire riforme e indicare soluzioni, ruolo che invece spetta solo e soltanto al Parlamento. Eppure, neanche in quel caso ci fu la benché minima critica al suo operato. Anzi, quelli che non poterono proprio fare a meno di constatare la stramberia della decisione del Presidente della Repubblica, elaborarono formule ancor più strambe per giustificarla, come “invenzione di fantasia costituzionale” (Tg la7).
Tutte le ultime scelte di Napolitano, comunque, vengono commentate alla luce dello stallo istituzionale e dell’irresponsabilità (innegabile) delle forze politiche che hanno prodotto questo sfacelo. Siccome i partiti sono incapaci di trovare una soluzione, sembra essere la logica imperante, è bene che ci pensi il Capo dello Stato. Il quale, ovviamente, ha buon gioco a forzare la mano. In pochissimi hanno rilevato l’inaccettabilità di un passaggio del discorso di Napolitano al Parlamento, dopo il suo secondo giuramento: “Se mi troverò di nuovo – ha tuonato il Presidente della Repubblica – dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al Paese”. Cos’è, una minaccia? Un avvertimento? È inconcepibile che un Capo dello Stato utilizzi il ricatto dello scioglimento delle Camere, o delle sue dimissioni anticipate, per condizionare il Parlamento, fosse anche per il più nobile dei motivi.
Ma nessuno sembra preoccuparsene. Anzi, tutti ormai affermano che l’Italia sta assumendo sempre più i connotati di una repubblica presidenziale, e lo fanno con aria tranquilla, rilassata, come se stessero commentando le previsioni del tempo. Nessuno arrossisce nel dirlo, nessuno si indigna nel constatare che lo scivolamento nel presidenzialismo è avvenuto, e sta avvenendo, in palese violazione dei principi della Costituzione.
Ma del resto Napolitano oggi l’ha detto: “Anche i mezzi di informazione cooperino a favorire il massimo di distensione piuttosto che rinfocolare vecchie tensioni”. Nessuno insomma, disturbi il conducente.
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