La proposta Finocchiaro-Zanda sulla disciplina dei partiti politici costituisce, dal punto di vista politico, un rozzo tentativo di escludere il M5S dalla competizione elettorale e, soprattutto, dalla possibilità di partecipare alla vita democratica del Paese entro le istituzioni. C’è, tuttavia, un ulteriore aspetto, che merita di essere considerato. Anche a voler, infatti, prescindere dagli scopi politici perseguiti dal Pd, il disegno di legge presenta evidenti profili di incostituzionalità.
Vediamo, anzitutto, gli obiettivi dichiarati dal Pd. Il disegno di legge costituirebbe una proposta diretta ad assicurare «più democrazia interna nei movimenti politici in linea con quanto stabilisce l’art. 49 della Costituzione»: «la legge serve per garantire la trasparenza della vita interna dei partiti e la stessa partecipazione» (Finocchiaro). Nella presentazione del Ddl, inoltre, si precisa che le regole dettate dalla nuova legge non impediranno «a una semplice associazione o movimento di fare politica, ma il mancato acquisto della personalità giuridica precluderà l’accesso al finanziamento pubblico e la partecipazione alle competizioni elettorali». In altre parole: i movimenti potranno fare politica al di fuori delle istituzioni, saranno costretti – loro malgrado – a divenire forze extra-parlamentari, anche quando ciò non fosse in alcun modo la loro volontà, intenzione ed ispirazione. Tra partiti (legittimati alla competizione elettorale) e movimenti viene così stabilita questa distinzione essenziale: le forze politiche, per poter partecipare alle competizioni elettorali, dovranno divenire associazioni riconosciute dotate di personalità giuridica, che acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche.
Si tratta di un’attuazione dell’art. 49 della Costituzione, come sostiene il Pd? In realtà, l’art. 49 Cost. non prevede alcun obbligo di registrazione ed acquisizione della personalità giuridica (previsto invece dall’art. 39 Cost. per le organizzazioni sindacali, e mai attuato). L’art. 49 Cost., infatti, si coordina e deve essere letto attraverso il riferimento fondamentale dell’art. 18 Cost., il quale garantisce a tutti i cittadini il «diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazioni». Le formule “associarsi liberamente senza autorizzazione” e “associarsi liberamente in partiti” giustificano la scelta dei Costituenti di escludere la necessità di registrazione e riconoscimento, con i relativi controlli pubblici. Come ricordato, di recente, dalla Corte Costituzionale, «i partiti politici sono garantiti dalla Carta costituzionale – nella prospettiva del diritto dei cittadini di associarsi – quali strumenti di rappresentanza di interessi politicamente organizzati; diritto di associazione al quale si ricollega la garanzia del pluralismo» (Corte Cost., ordinanza n. 79/2006).
In realtà, il problema dell’ “attuazione” dell’art. 49 Cost. e della disciplina dei partiti politici è risalente, e fu oggetto di discussioni sin dall’Assemblea Costituente. Devono, tuttavia, essere distinti differenti questioni in merito, che il Ddl presentato dal Partito Democratico pretende invece di considerare, impropriamente, come se esse rispondessero tutte alla stessa logica. Un conto, infatti, è il problema – a lungo discusso – della «democrazia interna» ai partiti, ossia della necessità di assicurare meccanismi interni che consentano alle forze politiche di adottare le proprie decisioni e di definire il proprio funzionamento attraverso il metodo democratico. Come ricorderà Aldo Moro, «è evidente che, se non vi è una base di democrazia interna, i partiti non potrebbero trasfondere indirizzo democratico nell’ambito della vita politica del Paese».
Ora, questo aspetto particolare non è direttamente legato alla presunta necessità di imporre ai partiti l’obbligo di registrazione e del riconoscimento della personalità giuridica. Diverso è, infatti, il problema della personalità giuridica. Il Ddl proposto dal Pd impone, infatti, l’acquisto di personalità giuridica mediante il procedimento disciplinato dal D.P.R. 286/2000, il quale prevede l’obbligo di presentare una domanda per il riconoscimento presso le Prefetture. Si tratta, pertanto, di una particolare disciplina che si presenta ben più invasiva di quella proposta, a suo tempo, dal progetto Sturzo, il quale prevedeva unicamente che, al fine dell’acquisto della personalità giuridica, i partiti dovessero depositare nella cancelleria del Tribunale competente lo statuto, senza altri obblighi («questo atto – scrive Sturzo – basta per poter attribuire al partito la personalità giuridica e in tale veste potere anche possedere beni stabili e mobili senza alcuna autorizzazione preventiva).
C’è, infine, un’ultima questione, che riguarda il problema della funzione costituzionale dei partiti. Per spiegarci, possiamo ritornare all’intervento della Corte Costituzionale già citato. Nel giudizio, la parte ricorrente aveva sostenuto che «fra le diverse funzioni che svolgono i partiti, quella relativa alle competizioni elettorali rappresenta un’attribuzione costituzionale che l’art. 49 Cost. assegna loro in via esclusiva, non essendo configurabile a Costituzione vigente altra forma di rappresentanza politica». La Corte Costituzionale respinge questa impostazione: «l’art. 49 Cost. – si legge nell’ordinanza – attribuisce ai partiti politici la funzione di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” e non specifici poteri di carattere costituzionale». La Corte, inoltre, ha precisato:
- che le funzioni attribuite dalla legge ai partiti sono unicamente funzionali a «raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell’ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello stesso art. 49 Cost.»;
- che i partiti politici «vanno considerati come organizzazioni proprie della società civile, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche, e non come poteri dello Stato ai fini dell’art. 134 Cost.» (Corte Cost., ordinanza n. 79/2006).
È evidente, pertanto, che il Ddl presentato dal Pd intende non soltanto escludere il M5S dalle istituzioni, ma anche il sogno mai definitivamente compiuto della partitocrazia: quello di fare del partito politico un potere dello Stato, unico soggetto della rappresentanza politica.
Con il pretesto di dettare norme per assicurare la “democrazia interna” ai partiti si vuole “costituzionalizzare” la partitocrazia: è questo l’obiettivo che sta dietro la proposta del Pd. Obiettivo che non solo rappresenta una mossa politica, profondamente antidemocratica, perché diretta ad escludere i cittadini dalla possibilità di partecipare attivamente alla vita politica del Paese, ma che è, altresì perseguito introducendo disposizioni che non possono non dirsi sospette di incostituzionalità.
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