9 dicembre 2013

L'infallibilità di Napolitano

L'infallibilità di Napolitano:
papa_napolitano.jpg
Habemus papam. Il pastore quirinalizio Giorgio Napolitano ha acquisito motu proprio l'infallibilità papale in materia elettorale e costituzionale. Se Napoleone fu incoronato re d'Italia nel Duomo di Milano, Napolitano è stato incoronato due volte dal porcellum cum gaudio. Con il grande corso condivide il motto "La corona è mia e guai a chi me la tocca". Dal Quirinale non lo smuove nessuno. Il fatto che la Consulta abbia dichiarato incostituzionale il Porcellum e lui sia stato eletto due volte con il Porcellum e quindi sia un presidente incostituzionale al quadrato non lo turba. Anzi, lo incoraggia a pontificare "La Corte Costituzionale non ha delegittimato l'attuale Parlamento", infatti la Corte ha solo bocciato il premio di maggioranza e la mancanza di preferenze su cui si regge questo Parlamento ignobile e mercificato, come nel Medioevo avvenne per la vendita delle indulgenze. Solo Napolitano può dire ciò che è o ciò che non è legittimo. "Il Parlamento attuale può ben approvare in qualsiasi momento la legge elettorale". Un parlamento illegittimo con schiere di nominati e un premio di maggioranza abnorme che consente a un Governo illegittimo presieduto da un ectoplasma come Letta può fare una nuova legge elettorale? Degli abusivi della democrazia possono riformare il Paese? L'unico atto degno che gli rimane è tornare alla legge precedente (basta un voto in aula), il Mattarellum, sciogliere le Camere e non farsi più vedere in giro. Napolitano insiste "La stessa Corte non mette in dubbio che ci sia una continuità nella legittimazione del Parlamento". Napolitano è un dogma. Propongo per legittimare la sua posizione, per ora auto conferita solo da lui stesso medesimo, una proposta di legge:
"Noi pertanto dogma da dio rivelato, annunciamo che Napolitano Pontifex Maximus, quando parla ex Cathedra, per la sua suprema autorità definisce una dottrina sulle leggi, debba godere di infallibilità e pertanto tali leggi essere per se stesse e non pel consenso dei cittadini, irreformabili. Se alcuno poi, tolgalo Iddio, osasse contraddire a questa nostra definizione, sia anatema, monito, altolà dal Colle."

La dittatura finanziaria totalitaria prossima ventura.

La dittatura finanziaria totalitaria prossima ventura.:
Comincia così, con un regalo da 420 milioni di euro annui ai banchieri e una proposta che, se accettata, ci condannerà ad essere più simili alla Grecia e molto meno alla Francia, alla Germania e all’Inghilterra, la reale dittatura finanziaria totalitaria che, più della democrazia o più di qualsiasi presa del potere attraverso le armi, caratterizza i tempi che ci apprestiamo a vivere e a lasciare in eredità ai nostri figli. Se non avremo la forza di combattere.
Banca d'Italia Fabrizio Saccomanni Enrico Letta Bankitalia
Un articolo di Piero Valerio per Byoblu.com da leggere a piccoli sorsi, soffermandosi sulla comprensione del significato e soprattutto della portata di ogni parola, perché se non facciamo neppure lo sforzo di capire, prendendoci tutto il tempo che ci serve, allora che sia fatto di noi ciò che si vuole, e “più non dimandiamo“.

1. LA BANCA D’ITALIA
In quanto aderente al sistema SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali) della BCE, Banca d’Italia è un’autorità monetaria completamente autonoma ed indipendente dal governo, perché in base ai trattati europei e al suo statuto non può finanziare direttamente lo Stato italiano tramite scoperti di conto di tesoreria, acquisto diretto di titoli del debito pubblico o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia. Inoltre, nessun politico o ministro italiano può influire sulle scelte di politica monetaria della Banca d’Italia o può chiedere conto e ragione, in parlamento o in altre sedi, dell’operato del Consiglio superiore o del governatore dell’istituto. La situazione opposta, invece, è incredibilmente ammessa, come conferma la lettera inviata il 5 agosto del 2011 da Trichet e Draghi al governo Berlusconi. L’unico obiettivo di Banca d’Italia, in linea con quello della BCE, è il mantenimento di un tasso annuo di inflazione prossimo al 2%, mentre l’istituto non si assume alcuna responsabilità né per quanto riguarda la disoccupazione né la crescita economica in generale, lasciando che siano il governo e il parlamento con la sola leva fiscale e tributaria a doversi fare carico della soluzione di questi problemi. Tranne l’elezione del governatore, che avviene su esplicita proposta e indicazione del Consiglio superiore della banca centrale (articolo 17 dello Statuto), i politici non hanno alcuna influenza nelle attività strettamente tecniche o istituzionali di Bankitalia.
La proprietà della banca centrale è al 95% privata, anche se l’istituto viene ipocritamente definito di diritto pubblico, perché si è appropriato giuridicamente di un’attività regolamentata per legge: l’emissione della moneta (sotto forma di banconote e riserve bancarie). Siccome noi siamo obbligati per legge dal corso forzoso ad accettare l’euro come moneta di stato, la Banca d’Italia, che ha l’esclusivo privilegio di emettere le banconote e le riserve elettroniche in euro, malgrado la sua proprietà e funzione privatistica ha acquisito negli anni una chiara posizione dominante nell’assolvimento di un diritto pubblico. I banchieri privati si sono gradualmente, con il tacito consenso o l’approvazione unanime di tutti i politici, impossessati di un istituto giuridico pubblico, la moneta, cercando di ricavarne nel corso del tempo un maggiore profitto privato. E visto che un’istituzione o è pubblica (nel senso che non è orientata ai profitti ma a garantire un diritto della cittadinanza) o è privata (nel senso che antepone il raggiungimento del profitto al benessere dei cittadini), Bankitalia da questo punto di vista è un ente assolutamente privato, perché antepone il profitto dei suoi azionisti banchieri (inflazione bassa, dividendi, prestiti agevolati agli amici della cricca) a quello dei cittadini (occupazione, bassa tassazione, regolarità del credito a famiglie e imprese). Tuttavia, questo esproprio di fatto della funzione monetaria un tempo subordinata al governo democratico, fino ad oggi veniva quantomeno ricompensato versando gran parte degli utili di gestione alle casse dello Stato (e per come viene gestita oggi una banca centrale, gli utili sono sempre assicurati, mentre è praticamente impossibile avere delle perdite). Da oggi invece, tramite la scandalosa proposta di trasformare Banca d’Italia in una public company, anche gran parte di questi utili verranno veicolati verso gli azionisti bancari privati.
2. I PROFITTI DEI BANCHIERI PRIVATI
Ma vediamo nel dettaglio cosa si nasconde dietro questa incredibile truffa legalizzata, spulciando il documento redatto da tre consulenti di Banca d’Italia (uno dei tre relatori è il famigerato ex-presidente del consiglio fantoccio della Grecia Lucas Papademos, governatore della banca centrale ellenica ai tempi dei trucchi di bilancio organizzati insieme a Goldman Sachs per fare rientrare il paese nei parametri di Maastricht: con un consulente così siamo in una botte di ferro!!!). Innanzitutto partiamo dall’assetto proprietario attuale, che è diviso in quote fittizie per un valore complessivo del capitale sociale simbolico di €156.000, di cui Banca Intesa, Unicredit e Assicurazioni Generali insieme detengono quasi il 60% del totale. Il fatto che si sia creata una tale concentrazione di capitale sociale in pochi grandi gruppi dipende dal processo di trasformazione e fusioni successive avvenute nel sistema bancario italiano a partire dai primi anni novanta.
In base alle rispettive quote e al valore nominale delle stesse, secondo quanto disposto dall’articolo 39 dello Statuto, i dividendi dovuti agli istituti finanziari e assicurativi privati ammonterebbero al 10% dell’intero capitale sociale, ovvero a soli €15.600. Tuttavia i banchieri sono già riusciti in passato ad inserire un comma all’articolo 40 dello Statuto, secondo cui oltre ai risibili dividendi figurativi di cui sopra, spettano agli azionisti privati altri dividendi aggiuntivi pari ai profitti degli investimenti del valore massimo del 4% delle riserve detenute nell’anno precedente (per il 2012 l’aliquota è stata piuttosto bassa, 0,5%, che tradotta in soldoni equivale a €70 milioni regalati alle banche). Il resto dell’utile netto (€2,5 miliardi nel 2012) viene invece ripartito fra accantonamenti a riserve statutarie (€1 miliardo) o girato direttamente al ministero del Tesoro (€1,5 miliardi). Considerando che l’utile lordo è stato di poco superiore a €7 miliardi e sottratta la quota versata in anticipo al fondo rischi generali, ciò significa che lo Stato incassa all’anno all’incirca altri €2 miliardi di tasse sugli utili. E in totale si tratta di €3,5 miliardi entrati nelle casse dello Stato nel 2013. Una bella somma, che giustifica le enormi pressioni dei banchieri sul governo per accaparrarsi una fetta molto più grande del bottino. Dato il contesto istituzionale e politico favorevole (dall’inizio della crisi del 2011 i banchieri sono riusciti ad infiltrare nei governi tecnici Monti e Letta una quantità considerevole di propri dirigenti, affiliati e simpatizzanti) e la situazione di emergenza in cui versa l’Italia, era chiaro che fosse arrivato il momento di sferrare l’attacco decisivo.
3. LA TRUFFA LEGALIZZATA
La proposta dei banchieri è la rivalutazione del capitale sociale, ricalcolato in base ai flussi di reddito che esso genera, il quale si collocherebbe in un intervallo compreso fra i €5 e €7,5 miliardi. Questi soldi verrebbero spostati contabilmente dalle riserve di Banca d’Italia, prendendo a pretesto il fatto che le banche per 14 anni di fila non hanno sfruttato fino in fondo le potenzialità dell’articolo 40, utilizzando sempre un valore di riserve investite inferiore al 4%. Come dire, non solo lo Stato ha fatto annualmente un regalo alle banche (i 70 milioni di euro di cui sopra), ma adesso i banchieri pretendono pure di farci pesare la colpa che il gentile omaggio non fosse all’altezza delle loro aspettative. Inoltre verrebbe fissato un limite del 5% alle quote possedute da ogni singolo azionista e a coloro che, adesso o in futuro, dovessero ritrovarsi con quote in eccesso, verrebbe concesso un periodo di tempo prestabilito per sbarazzarsene, vendendole ad “investitori istituzionali con un orizzonte di lungo periodo” (definizione generica che significa tutto e niente, ma che alla fine si ridurrebbe a privilegiare i ben noti colossi finanziari mondiali “too big to fail”, tipo Goldman SachsMorgan StanleyJP MorganBarclaysDeutsche Bank e così via).
In pratica si verrebbe a creare un vero e proprio mercato internazionale delle quote di Banca d’Italia, difficile se non impossibile da gestire e monitorare (se Goldman Sachs acquisisce o scala un altro azionista, chi si deve prendere la briga di obbligarla a cedere le sue quote in eccesso?), a cui potrebbero accedere soltanto gli istituti finanziari abilitati ed autorizzati (come avviene oggi con il consorzio degli “specialisti” in acquisto di titoli di stato). In nessun altro contesto internazionale, in cui la banca centrale è in tutto o in parte controllata dai privati, esiste un mercato regolamentato delle quote di partecipazione al capitale di una banca centrale, dato che queste ultime rappresentano ovunque una semplice certificazione azionaria fittizia che non può essere trasferita, venduta, prestata, acquistata. L’Italia sarebbe all’avanguardia in questo settore, visto che il progetto in questione prevede chiaramente che le quote siano “facilmente trasferibili e in grado di attrarre potenziali acquirenti”.
La smania di incentivare l’arrivo di capitali esteri ha contagiato pure uno dei settori in cui la presenza straniera non è affatto necessaria (gli stranieri sanno per caso “stampare” le banconote meglio di noi? O azionare i computers dei funzionari della banca centrale in maniera innovativa?) e creerebbe invece dei paradossi difficilmente risolvibili senza innescare infiniti intoppi diplomatici ed istituzionali: cosa succederebbe se un giorno Banca d’Italia diventasse interamente di proprietà straniera? Potrebbero istituti finanziari esteri pretendere tutto l’oro e il patrimonio accumulato da Banca d’Italia in passato, grazie soprattutto ai privilegi di gestione concessi dallo Stato italiano? Il patrimonio di Banca d’Italia è pubblico o privato? Non sono stati gli italiani e il loro ligio rispetto della lex monetae di Stato a garantire a Banca d’Italia di incrementare nel tempo le sue proprietà e ricchezze? Un ginepraio inestricabile, che giustifica il fatto che nei paesi più civili ed evoluti del mondo la proprietà della banca centrale è interamente pubblica e anche nei casi di proprietà privata, nessuno ha mai osato tanto quanto gli italiani oggi in termini di privatizzazione e apertura ai mercati esteri.
4. COME FUNZIONA?
Se la ridefinizione dell’assetto proprietario di Bankitalia venisse attuata in tempi brevi, consentirebbe al governo e ai banchieri di raggiungere tre importanti obiettivi in un colpo solo:
  1. il governo incasserebbe una tassa una tantum sulle plusvalenze della rivalutazione pari a circa €1,5 miliardi, utile a coprire il mancato gettito per il 2013 dell’IMU sulla seconda casa;
  2. migliorerebbe la situazione patrimoniale dei disastrati istituti bancari italiani in vista degli stress test che la BCE condurrà per tutto il 2014;
  3. i banchieri avrebbero annualmente maggiori dividendi complessivi, che finirebbero alle banche private azioniste (italiane e straniere).
Analizzando tuttavia un punto alla volta questo programma, ci si accorge ben presto che ogni passaggio equivale ad un guadagno certo per i banchieri e ad una perdita netta per noi cittadini.
a) la tassa una tantum
Lo Stato incasserà subito €1,5 miliardi, da utilizzare soltanto per un anno a copertura di un mancato gettito, privandosi però per tutti gli anni futuri di un sicuro introito derivante dalle tasse e dalla redistribuzione degli utili di Banca d’Italia. E’ lo stesso tipo di errore che si commette quando si vogliono utilizzare i proventi delle privatizzazioni (un asset strategico in conto capitale che produce rendimenti certi) per abbattere magari debiti di medio e breve periodo (che invece, in una logica di contabilità spicciola, dovrebbero essere ridotti utilizzando le entrate in conto corrente). In questo modo, una volta abbattuto tutto o parte di quel debito, lo Stato si ritroverebbe senza un asset, senza un rendimento certo, e senza essere neppure riuscito ad estirpare la vera causa da cui si originava quel buco di bilancio, che qualora dovesse riaprirsi avrebbe ora minori possibilità di essere rimarginato. Perché non solo lo Stato avrà un patrimonio minore a garanzia di quel nuovo debito ma anche meno entrate nel suo conto economico per equilibrare le uscite e le eventuali perdite di esercizio. In un paese normale, la necessità di reperire €1,5 miliardi tramite Banca d’Italia si sarebbe risolta in un’altra maniera, molto più immediata e indolore per le tasche dei cittadini: la rinazionalizzazione a costo zero dell’istituto, la rivalutazione del capitale sociale a €7 miliardi e l’incasso delle tasse sulle plusvalenze direttamente da Banca d’Italia. Inoltre, ogni volta che si fanno questo tipo di operazioni avventate, bisognerebbe quantomeno fare un confronto fra i rendimenti attivi dell’asset che si vuole privatizzare (che possono essere anche figurativi, come i mancati costi di affitto di un edificio pubblico) e gli interessi passivi del debito che si vuole ridurre. Se i primi sono superiori ai secondi, la privatizzazione non ha alcun senso, perché conviene pagare gli interessi passivi e incassare annualmente la quota marginale di profitto. Cosa che sta puntualmente accadendo con il fallimentare e scandaloso piano di privatizzazioni del governo Letta chiamato beffardamente “Destinazione Italia”, che toglierà allo Stato asset strategici, rendimenti certi dell’ordine del 7%, per ripagare una parte minima del montante di debito (circa €12 miliardi), da cui scaturiscono mediamente interessi passivi del 4%. Ogni anno quindi lo Stato perderà il 3% di quei €12 miliardi, ovvero €360 milioni, che dovrà recuperare mettendo altre tasse o facendo altri tagli ingiustificati alla spesa pubblica sociale.
b) la patrimonializzazione delle banche
Andiamo al secondo punto, la questione controversa della patrimonializzazione delle banche, che è all’origine di tutti i problemi attuali dei paesi europei. Come già sappiamo, nell’eurozona si è già deciso da tempo che i costi della cattiva gestione dei banchieri devono essere pagati dai cittadini, con ingarbugliati accordi intergovernativi o fraudolenti schemi di salvataggio pubblico (Fiscal Compact, MES, bail in e bail out, prelievi forzosi etc). Anche nel caso della rivalutazione del capitale sociale di Banca d’Italia la musica non cambia, perché quei €7 miliardi di aumento di capitale, che i banchieri si ritroveranno spalmato come per magia sui loro bilanci, deriva da un fondo di riserve che in teoria (ma anche in pratica) è di proprietà dello Stato e dei cittadini italiani. Sono infatti lo Stato e i cittadini italiani (questi ultimi come sempre a loro insaputa) ad avere concesso negli anni alla Banca d’Italia il privilegio di emettere la moneta legale a corso forzoso, senza il quale l’istituto nazionale di Palazzo Koch non avrebbe mai potuto registrare utili o creare riserve statutarie. Siamo alle solite insomma, il Governo dei Banchieri cerca di mascherare una chiara operazione di salvataggio pubblico delle banche, con nomi più o meno evocativi di altro: rivalutazione delle quote di Banca d’Italia non significa altro che spostamento fisico e contabile di un tesoretto degli italiani nelle casse delle banche private. Qualora un giorno lo Stato italiano volesse procedere alla sacrosanta e legittima nazionalizzazione della sua banca centrale, per mettersi al passo con i paesi europei più grandi ed evoluti (Germania, Francia ed Inghilterra) e allontanarsi dalla condizione di colonia del Terzo Mondo, dovrebbe conferire ai banchieri privati ben €7 miliardi di regali ed elargizioni per riacquistare tutte le quote azionarie circolanti. Insomma i banchieri stanno già cercando di pararsi il colpo, nell’improbabile caso in cui agli italiani dovesse un giorno venire un insperato (e alquanto provvidenziale) impeto di orgoglio e amore nazionale.
Inoltre quelle quote un tempo simboliche e fittizie, con la rivalutazione diventerebbero concreti e reali attestati di proprietà, che potrebbero porre diversi contenziosi o interrogativi in caso di liquidazione della Banca Centrale: chi sarebbero i proprietari dei €100 miliardi e oltre di riserve valutarie e auree, lo Stato o i banchieri? E i €23 miliardi di riserve statutarie invece? Visto che proprio da queste ultime sono stati ricavati i €7 miliardi di rivalutazione, sembrerebbe che le banche private vantino ad oggi maggiori diritti di proprietà rispetto allo Stato riguardo al patrimonio di Banca d’Italia e non è escluso che potrebbero sfacciatamente rivendicare questo diritto in qualsiasi momento futuro (magari richiedendo una nuova ricapitalizzazione dell’istituto per ripianare i loro buchi di bilancio). E non abbiamo ancora parlato dell’enorme conflitto di interessi che vede le banche controllate proprietarie dell’ente controllore di vigilanza. Ed è qui che entra in ballo il più sfrontato raggiro dell’opinione pubblica, perché questa intollerabile ambiguità di fondo viene fatta passare come la maggiore garanzia di imparzialità, autonomia ed equidistanza dell’istituto di sorveglianza, dato che, testuali parole, “non va alterato l’equilibrio che ha assicurato l’indipendenza dell’Istituto, preservandone la capacità di resistere alle pressioni politiche”, prendendo gli Stati Uniti e la Federal Reserve come esempio virtuoso e modello di massima efficienza dell’azionariato privato nel capitale sociale dell’ente di vigilanza bancaria (senza citare però minimamente i disastri della crisi finanziaria dei subprime del 2008, avvenuti anche grazie ad un controllo quasi inesistente della Federal Reserve sull’operato delle grandi banche private sue proprietarie). Ma che cos’è questa se non una truffa? Abbiamo detto prima che i trattati europei impediscono a monte qualsiasi influenza dei politici sull’operato della banca centrale, sia in termini finanziari (impossibilità di acquisto diretto di titoli di stato o di scoperti sul conto di tesoreria) sia in termini operativi (incapacità di fissare il tasso di interesse di riferimento o di regolamentare il sistema del credito). Quindi che bisogno c’è di blindare l’autonomia e l’indipendenza della banca centrale dal governo, ricorrendo all’azionariato privato? Prova ne è il fatto che la Bundesbank e la Banque de France sono interamente pubbliche, eppure né Hollande né la Merkel né l’ultimo dei politici tedeschi o francesi avrebbe oggi la capacità di influire anche lontanamente sulle scelte di politica monetaria dei rispettivi istituti centrali. Inoltre il modello degli Stati Uniti è completamente fuori luogo per fare un paragone con gli stati non più sovrani dell’eurozona, perché sappiamo che la Federal Reserve, benché di proprietà privata, è obbligata ad indirizzare le proprie decisioni di politica monetaria in base alle esigenze del Governo. Mentre gli stati dell’eurozona sono costretti obbligatoriamente a coprire i propri deficit di bilancio chiedendo in prestito i capitali ai mercati finanziari privati, gli Stati Uniti possono invece decidere discrezionalmente di finanziarsi sui mercati con il collocamento dei propri titoli di stato oppure di ricorrere al supporto diretto della banca centrale. La loro scelta insomma è di carattere più tecnico, politico o ideologico (il terrorismo fatto sull’ampiezza estrema dei debiti pubblici, che invece in condizione di sovranità monetaria sono sempre contabilmente solvibili) che strettamente finanziario, perché gli americani, così come i giapponesi, i canadesi, gli australiani, non immaginano nemmeno che sia possibile interrompere drasticamente il collegamento e il coordinamento fra politica monetaria della banca centrale e politica fiscale del governo, così come è avvenuto qui in Europa con l’adesione ai trattati comunitari. Il confronto quindi fra l’azionariato privato della Federal Reserve e quello di Banca d’Italia è del tutto inappropriato, anche perché mentre negli Stati Uniti la scelta di fornire dei dividendi agli azionisti privati non esclude il governo dal pieno controllo della banca centrale e non limita la capacità di spesa dello Stato (il vero vincolo caso mai riguarda l’equilibrio dei conti con l’estero e la stabilità di cambio della moneta), qui in Italia il governo non solo non può ricevere nulla dalla banca centrale in termini di sostegno finanziario ma continua a perdere parte degli utilissimi introiti da signoraggio a favore dei banchieri, rendendo più pressante e oneroso il ricorso ai mercati finanziari privati. Con questa riforma l’Italia quindi si avvicinerebbe più che altro ai sistemi privatistici periferici dell’eurozona di Belgio e Grecia (non proprio due fari di innovazione, sviluppo e modernità nel panorama internazionale), allontanandosi invece pericolosamente dai modelli più equilibrati ed evoluti di Francia, Germania ed Inghilterra, dove quantomeno i profitti della banca centrale pubblica sono interamente girati allo Stato. Nel caso specifico gli utili della Bundesbank tedesca sono disciplinati per legge e ritornano alle casse statali fino alla somma di €2,5 miliardi, mentre la parte eccedente viene destinata ad un fondo speciale istituito per finanziare i costi della riunificazione tedesca e vari programmi di sviluppo. I profitti della Banque de France vanno invece per più della metà allo Stato, mentre il resto viene distribuito tra fondi pubblici e altre riserve della stessa banca. Ripetiamo che si tratta di briciole, rispetto alla possibilità di finanziare per intero il proprio fabbisogno pubblico o calmierare a piacimento gli interessi passivi, come avviene negli stati che hanno mantenuto intatta la propria sovranità monetaria. Tuttavia, strozzati come siamo nell’eurozona dai vincoli di bilancio, questi soldi sono molto utili se non indispensabili per evitare di applicare ulteriori salassi tributari alla cittadinanza o di tagliare ancora servizi pubblici essenziali.
Ma è proprio questo il nodo più spinoso della questione. L’Italia ha già deciso di uscire dal novero dei paesi forti economicamente in Europa, autoriducendosi al grado di protettorato e colonia (sulla scia di Grecia e Belgio), oppure esiste ancora qualche possibilità di riscatto per il nostro paese? I nostri politici sono davvero così incapaci e incompetenti da svendere in pochi anni tutto il nostro notevole patrimonio economico e geopolitico agli stranieri, oppure esiste ancora un modo per liberarci da questi impostori collaborazionisti e mercenari? Stando alla cruda realtà dei fatti, pare che il destino dell’Italia sia già stato scritto e segnato da tempo, e nel nostro paese ormai la tecnocrazia bancaria abbia preso il sopravvento e incorporato l’intera classe politica e dirigente. Non si spiegherebbe altrimenti la tracotanza con cui viene ribadito nel documento di Banca d’Italia che bisogna “evitare che si dispieghino gli effetti negativi della legge n. 262 del 2005, mai attuata, che contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà della Banca”. Per carità, non dobbiamo ambire a diventare come Francia, Germania, Inghilterra, ma rassegnarci a ridurci come Belgio e Grecia. Solo per la cronaca, la legge n. 262 del 2005 prevedeva che entro tre anni dalla sua entrata in vigore le quote di partecipazione a Banca d’Italia possedute da istituti privati venissero trasferite allo Stato o ad enti pubblici. Ma, oltre ad essere ignorata, ci pensarono ProdiNapolitanoPadoa SchioppaDraghi (il quartetto di Quisling più pericoloso del paese) già nel 2006 a modificare l’articolo 3 dello Statuto di Banca d’Italia per vanificare l’attuazione della legge, impedire di fatto la nazionalizzazione e rendere legittima la presenza di azionisti privati nel capitale sociale della banca centrale.
c) il rendimento garantito
Ma veniamo adesso all’ultimo punto cruciale della riforma, quello del rendimento garantito da corrispondere agli azionisti privati. Prendendo spunto dalle regole utilizzate negli Stati Uniti e in Giappone (due esempi come abbiamo detto del tutto inopportuni), il tasso di dividendo verrebbe fissato al 6% del nuovo capitale sociale rivalutato, ovvero ben €420 milioni annui nel caso in cui quest’ultimo fosse ampliato a €7 miliardi. Una bella differenza dai €70 milioni attuali, che verrebbe sottratta direttamente alle casse dello Stato per un ammontare di €350 milioni annui. I banchieri insomma con un investimento iniziale di €1,5 miliardi, ammortizzabile in soli quattro anni, si assicurerebbero una rendita perpetua di posizione di €420 milioni annui, con un valore di riscatto del capitale di €7 miliardi. Chi, sano di mente, non farebbe mai un investimento simile? E viceversa, quale politico veramente interessato al bene del proprio paese priverebbe i propri cittadini di una rendita che gli spetta di diritto per regalarla ai banchieri nazionali e internazionali? La risposta è presto trovata: Saccomanni e Letta stanno facendo questo all’Italia, perché il primo non nasconde neppure di fare gli interessi dei banchieri essendo un banchiere lui stesso, e il secondo ormai è troppo impelagato negli intrecci di palazzo e nella difesa dei suoi interessi personali per pensare seriamente al bene dei propri connazionali.
5. CONCLUSIONI
Per concludere, possiamo dire che il senso profondo di questa operazione di riforma di Banca d’Italia è che gli italiani, al contrario dei francesi o dei tedeschi, devono essere “cornuti” (perché non hanno più una banca centrale) e “mazziati” (perché devono pure rinunciare a buona parte degli utili e delle riserve che la banca centrale produce annualmente). L’Italia, così come Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna, deve essere sacrificata sull’altare dell’euro, mettendo a disposizione degli investitori nazionali ed esteri, non solo il suo patrimonio industriale, naturale, artistico, ma anche alcuni dei suoi tradizionali istituti giuridici, come l’attività di emissione della moneta. Ma la vera discriminante fra una nazione che può ancora pretendere di difendere la propria democrazia e uno stato ormai in balia degli organismi sovranazionali, senza più uno straccio di sovranità politica ed economica, non sono tanto i profitti da signoraggio o la natura giuridica dell’ente emittente (pubblico o privato), ma il grado di indipendenza ed autonomia delle banche centrali dai governi democratici. E quello che sta accadendo oggi in Italia è solo una normale conseguenza dell’eccesso di autonomia e indipendenza conquistato dalle banche centrali nel corso degli anni. Più le banche centrali sono autonome, indipendenti, svincolate dai governi, più si restringe lo spazio di manovra dei decisori politici. E ormai lo spazio qui da noi è diventato talmente risicato da rendere indistinguibile la nostra forma ibrida e imbastardita di governo da una vera e propria dittatura finanziaria totalitaria. I banchieri sono talmente autonomi e indipendenti da avere assoggettato e sostituito i politici al governo delle nazioni, anteponendo i loro interessi corporativi al benessere del paese. Con buona pace dei cittadini, della democrazia e dei principi costituzionali.

OUYA disponibile nei negozi MediaWorld

OUYA disponibile nei negozi MediaWorld:
ouya mediaworld
Come vi abbiamo anticipato a inizio ottobre, la console “Android & Tegra poweredOUYA è finalmente arrivata anche in Italia addirittura negli store fisici. A metà novembre siamo venuti a sapere che la console sarebbe arrivata in vendita nel nostro paese nei centri commerciali Mediaworld e Saturn, senza però essere certi di quello che sarebbe stato il prezzo ufficiale del prodotto.
Come avrete intuito dall’immagine di apertura non solo OUYA è arrivata effettivamente in vendita in Italia ma sappiamo finalmente il prezzo a cui viene proposta al pubblico: 119,99€, per la confezione standard comprensiva di console, controller, alimentatore e cavo HDMI. La console sembra al momento non disponibile per l’acquisto online dai siti web di Mediaworld e Saturn, mentre è appunto disponibile direttamente in negozio. Non siamo certi della sua disponibilità nei negozi della catena Saturn (nel caso in cui l’aveste trovata non esitate a segnalarcela).
Insomma, se cercavate un’idea regalo tecnologica o eravate semplicemente propensi all’acquisto del progetto nato su Kickstarter, avete adesso modo di dare un’occhiata più da vicino al prodotto e di decidere per l’acquisto, che poi non si discosta così tanto dal prezzo in dollari, più spedizione, previsto negli Stati Uniti (considerando un simbolico cambio 1 a 1 come ad esempio per il Nexus 5).
Ringraziamo il gentile commesso per la foto
Aggiornamento: Un nostro utente ci ha confermato di aver visto la console in vendita anche in un negozio della catena Saturn.

8 dicembre 2013

Motorola pubblica kernel e altre parti essenziali di sistema del nuovo Moto G

Motorola pubblica kernel e altre parti essenziali di sistema del nuovo Moto G:
Motorola Moto G Kernel
Motorola ha recentemente pubblicato a questo indirizzo tutto il necessario (o meglio una parte del codice sorgente e di alcune parti importanti del sistema) per iniziare a sviluppare personalizzazioni e ROM dedicate al primo smartphone che segna il ritorno in Europa del marchio della casa alata, stiamo parlando del recente Moto G.
All’interno della pagina troverete il file sorgente per il kernel ed altri parti essenziali di sistema sotto licenza GPL, oltre ad una serie di istruzioni su come compilare il tutto. Una risorsa importante per sviluppatori ed appassionati che potranno così scaricare i vari pacchetti ed iniziare a lavorare con i file in attesa di scoprire se questo smartphone riuscirà a conquistare la community e ad ospitare ROM importanti come le ultime CyanogenMod.

7 dicembre 2013

L'indignazione della Boldrini

L'indignazione della Boldrini:
boldrini_indigna.jpg
"Una Presidente della Camera che si indigna quando il MoVimento 5 Stelle protesta in aula pacificamente e non lo fa quando diversi deputati del Pd (Lattuca e Martino) aggrediscono fisicamente i nostri parlamentari, per me non ha idea di cosa sia il suo ruolo di garanzia. Una Presidente che si prende la briga di fare un comunicato contro un post di Grillo per difendere una giornalista e NON APRE BOCCA su Vendola (segretario del suo partito) che in un'intercettazione telefonica ride sonoramente di un giornalista a cui viene tolto il microfono mentre fa il suo lavoro, è semplicemente un'ipocrita. Essere filo-governativi in una Camera in cui quasi i due terzi dei Deputati sono la maggioranza, è la cosa più semplice da fare per "campare tranquilli". Esercitare invece il ruolo di garante di TUTTE le forze politiche, richiede coraggio." Luigi Di Maio

150 abusivi in Parlamento #FuoriGliAbusivi

150 abusivi in Parlamento #FuoriGliAbusivi:
150_abusivi__.jpg
In Parlamento siedono 150 abusivi eletti grazie al premio di maggioranza del Porcellum. Gi abusivi sono di pd, sel, centro democratico e svp. La loro elezione non è mai stata convalidata e, in seguito alla pronuncia della Consulta che dichiara incostituzionale il premio di maggioranza, non può più esserlo. Questi signori non devono più entrare in Parlamento: non hanno alcuna legittimità popolare nè istituzionale. Devono essere fermati all'ingresso di Montecitorio. Senza di loro il governo di Capitan Findus Letta e di Napolitano non esiste più. Bisogna andare al voto al più presto.

I nomi dei 150 abusivi con i relativi incarichi istituzionali e di governo:
Luciano Agostini, pd, SEGRETARIO della XIII COMMISSIONE (AGRICOLTURA)
Luisella Albanella, pd
Maria Amato, pd
Maria Teresa Amici, pd, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri
Sofia Amoddio, pd
Maria Antezza, pd, SEGRETARIO della COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'INFANZIA E L'ADOLESCENZA
Michele Anzaldi, pd, SEGRETARIO della COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'INDIRIZZO GENERALE E LA VIGILANZA DEI SERVIZI RADIOTELEVISIVI
Tiziano Arlotti, pd
Anna Ascani, pd
Cristina Bargero, pd
Davide Baruffi, pd
Gianluca Benamati, pd
Paolo Beni, pd
Marina Berlinghieri, pd
Franca Biondelli, pd
Tamara Blazina, pd
Antonio Boccuzzi, pd
Paolo Bolognesi, pd
Lorenza Bonaccorsi, pd
Francesco Bonifazi, pd, PRESIDENTE della COMMISSIONE GIURISDIZIONALE PER IL PERSONALE
Franco Bordo, sel
Maria Elena Boschi, pd, SEGRETARIO della I COMMISSIONE (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI)
Francesco Bruno, centro democratico
Giovanni Burtone, pd
Roberto Capelli, centro democratico
Salvatore Capone, pd
Sabrina Capozzolo, pd
Ernesto Carbone, pd
Daniela Cardinale, pd
Renzo Carella, pd
Mara Carocci, pd
Piergiorgio Carrescia, pd
Ezio Casati, pd
Floriana Casellato, pd
Bruno Censore, pd
Khalid Chaouki, pd
Eleonora Cimbro, pd
Paolo Coppola, pd
Maria Coscia, pd
Celeste Costantino, sel
Paolo Cova, pd
Stefania Covello, pd
Filippo Crimì, pd
Diego Crivellari, pd
Gian Pietro Dal Moro, pd
Luigi Dallai, pd
Vincenzo D'Arienzo, pd
Roger De Menech, pd
Marco Di Stefano, pd
Vittoria D'Incecco, pd
Umberto D'Ottavio, pd
Donatella Duranti, sel
David Ermini, pd
Luigi Famiglietti, pd
Edoardo Fanucci, pd
Daniele Farina, sel
Andrea Ferro, pd
Aniello Formisano, centro democratico
Filippo Fossati, pd
Gian Mario Fragomeli, pd
Silvia Fregolent, pd
Maria Chiara Gadda, pd
Guido Galperti, pd
Paolo Gandolfi, pd
Francesco Garofani, pd
Daniela Gasparini, pd
Federico Gelli, pd
Manuela Ghizzoni, pd, VICEPRESIDENTE della VII COMMISSIONE
Roberto Giachetti, pd, VICEPRESIDENTE della CAMERA DEI DEPUTATI, PRESIDENTE del COMITATO PER LA COMUNICAZIONE E L'INFORMAZIONE ESTERNA
Dario Ginefra, pd
Giancarlo Giordano, sel
Andrea Giorgis, pd
Fabrizia Giuliani, pd
Marialuisa Gnecchi, pd
Sandro Gozi, pd, PRESIDENTE della DELEGAZIONE PRESSO L'ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D'EUROPA
Gero Grassi, pd
Monica Gregori, pd
Chiara Gribaudo, pd
Giuseppe Guerini, pd
Mauro Guerra, pd, PRESIDENTE del COLLEGIO D'APPELLO
Maria Tindara Gullo, pd
Itzhak Gutgeld, pd
Maria Iacono, pd
Tino Iannuzzi, pd, VICEPRESIDENTE della VIII COMMISSIONE (AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI)
Leonardo Impegno, pd
Vanna Iori, pd
Florian Kronbichler, sel
Luigi Lacquaniti, sel
Carmelo Lo Monte, centro democratico
Pia Locatelli, pd
Alberto Losacco, pd
Ernesto Magorno, pd
Simona Malpezzi, pd
Massimiliano Manfredi, pd
Irene Manzi, pd
Maino Marchi, pd
Giulio Marcon, sel
Raffaella Mariani, pd
Elisa Mariano, pd
Siro Marrocu, pd
Giovanna Martelli, pd
Pierdomenico Martino, pd
Davide Mattiello, pd
Gianni Melilla, sel
Fabio Melilli, pd
Marco Meloni, pd
Marco Miccoli, pd
Anna Margherita Miotto, pd, SEGRETARIO dell'UFFICIO DI PRESIDENZA
Colomba Mongiello, pd
Alessia Morani, pd
Sara Moretto, pd
Antonino Moscatt, pd, SEGRETARIO della GIUNTA DELLE ELEZIONI
Nicodemo Oliverio, pd
Mauro Ottobre, svp
Giovanni Paglia, sel
Giovanna Palma, pd
Massimo Paolucci, pd
Oreste Pastorelli, pd
Luca Pastorino, pd
Serena Pellegrino, sel
Paolo Petrini, pd
Teresa Piccione, pd
Giorgio Piccolo, pd
Giuseppina Picierno, pd
Nazzareno Pilozzi, sel
Giuditta Pini, pd
Antonio Placido, sel
Roberto Rampi, pd
Ermete Realacci, pd, PRESIDENTE della VIII COMMISSIONE (AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI)
Francesco Ribaudo, pd
Alessia Rotta, pd
Francesco Sanna, pd
Arcangelo Sannicandro, sel
Daniela Sbrollini, pd
Ivan Scalfarotto, pd
Gian Piero Scanu, pd
Manfred Schullian, svp, SEGRETARIO dell'UFFICIO DI PRESIDENZA
Arturo Scotto, sel
Chiara Scuvera, pd
Angelo Senaldi, pd
Bruno Tabacci, centro democratico, PRESIDENTE della COMMISSIONE PARLAMENTARE PER LA SEMPLIFICAZIONE
Alessandra Terrosi, pd
Guglielmo Vaccaro, pd
Franco Vazio, pd
Silvia Velo, pd
Laura Venittelli, pd, VICEPRESIDENTE della COMMISSIONE GIURISDIZIONALE PER IL PERSONALE
Walter Verini, pd
Rosa Maria Villeco Calipari, pd, VICEPRESIDENTE della IV COMMISSIONE (DIFESA)
Sandra Zampa, pd, VICEPRESIDENTE della COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'INFANZIA E L'ADOLESCENZA
Filiberto Zaratti, sel

Scarica il pdf

Servizio Pubblico, Travaglio su porcellum "Ho visto un re"

Legge elettorale, ecco i 148 deputati "bocciati" dalla Corte Costituzionale - Il Fatto Quotidiano

Legge elettorale, ecco i 148 deputati "bocciati" dalla Corte Costituzionale - Il Fatto Quotidiano