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17 giugno 2013
Province siciliane abolite, ricorso al Tar di Catania: “Legge incostituzionale”
Province siciliane abolite, ricorso al Tar di Catania: “Legge incostituzionale”:
Non se vogliono andare e promettono battaglia. La legge che cancella le nove Province siciliane è stata impugnata al Tar di Catania su iniziativa dell’Upi (Unione province italiane), di un paio di consiglieri provinciali di Catania, Giacomo Porrovecchio (Idv) e Carmelo Milazzo (Pdl), e dell’Urps (Unione regionale province siciliane).
I ricorsi sono stati redatti dai costituzionalisti Felice Giuffré e Ida Nicotra, una dei 35 saggi chiamati a modificare la Carta fondamentale. L’impugnativa fa leva su una presunta incostituzionalità della legge regionale 7 del 27 marzo 2013 che ha abolito i nove enti intermedi nell’Isola e istituito i Liberi Consorzi dei Comuni.
Il cuore del ricorso fa riferimento ai richiami della Corte Costituzionale che equipara le 9 province siciliane, in quanto enti territoriali di area vasta ed elettivi, a quelle del resto del Paese, come recita l’articolo 114 della Carta costituzionale. Che espressamente dice: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città Metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.
Di fatto, il governo regionale ha affidato la gestione della Province, enti ancora elettivi, a dei commissari straordinari fin quando non sarà approvata la legge che attui l’articolo 15 dello Statuto speciale siciliano di cui è da verificare l’attuale compatibilità con la Carta costituzionale.
La levata di scudi contro il governo Crocetta non finisce qui. Gli inquilini di palazzo Minoriti sono intenzionati a resistere e si sono autoconvocati per domani alle 10. Lo si apprende da una nota dell’Ufficio stampa della Provincia. La decisione è stata presa nel corso della seduta del 14 giugno scorso, quella in cui per l’ultima volta è risuonata appunto la campanella.
Dai numerosi interventi, tanto dei consiglieri di destra quanto di quelli di sinistra, è emersa la richiesta unanime che prima di ogni cosa il governo Crocetta deve emanare un decreto di scioglimento e di nomina delle figure commissariali che avranno il compito di dirigere l’ente in questa fase intermedia.
“Con la cessazione dei consigli provinciali – si legge nella nota di palazzo Minoriti – si chiude il sipario su un pezzo di storia della Provincia e si affaccia una nuova era, in attesa di indicazioni che facciano capire quale sarà la trasformazione dell’Ente a seguito delle disposizioni della legge regionale n.278 “Norme transitorie per l’istituzione dei Consorzi di Comuni”, varata dalla Regione Siciliana nello scorso mese di marzo. La maggior parte dei consiglieri non ha gradito l’essere stati “licenziati” da una semplice nota a firma dell’assessore regionali agli Enti locali. Per questo rivendicano, quale atto formale amministrativo, la notifica all’Ente del decreto di scioglimento”.
“La durata in carica del Consiglio provinciale – prosegue la nota – è stabilita in cinque anni. A riguardo si sottolinea come, pur mancando nell’ordinamento regionale degli enti locali una espressa disposizione che stabilisca il dies a quo della decorrenza del quinquennio, la soluzione del quesito non possa che essere desunta facendo riferimento alla data delle elezioni. Nella nota si chiarisce, inoltre, che sul punto, autorevole giurisprudenza amministrativa (cfr ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 23.1.2012, n.273) ha affermato che “Il dies a quo per la decorrenza del mandato, ossia del periodo di durata di una carica è determinato dall’atto di nomina o da quella di elezione, indipendentemente dalla data in cui le funzioni siano effettivamente assunte mediante l’insediamento”.
“Nel corso della seduta di venerdì 14 giugno, ricca di interventi – si legge ancora – il presidente Leonardi ha voluto riassumere quanto prodotto dai lavori di aula attraverso una Relazione di fine mandato dell’attività consiliare, allegata agli atti. Trecentotrentotto Consigli ordinari, quarantotto Consigli straordinari (per un totale di 386 sedute); cinquecentosessantasei interrogazioni e centoventinove interpellanze, quattrocentotrentanove le deliberazioni adottate. Infine, come atto conclusivo della seduta, in diversi hanno deciso di auto riconvocarsi (senza percepire il gettone di presenza), martedì 18 giugno alle ore 10.00 a Palazzo Minoriti”.
Non se vogliono andare e promettono battaglia. La legge che cancella le nove Province siciliane è stata impugnata al Tar di Catania su iniziativa dell’Upi (Unione province italiane), di un paio di consiglieri provinciali di Catania, Giacomo Porrovecchio (Idv) e Carmelo Milazzo (Pdl), e dell’Urps (Unione regionale province siciliane).
I ricorsi sono stati redatti dai costituzionalisti Felice Giuffré e Ida Nicotra, una dei 35 saggi chiamati a modificare la Carta fondamentale. L’impugnativa fa leva su una presunta incostituzionalità della legge regionale 7 del 27 marzo 2013 che ha abolito i nove enti intermedi nell’Isola e istituito i Liberi Consorzi dei Comuni.
Il cuore del ricorso fa riferimento ai richiami della Corte Costituzionale che equipara le 9 province siciliane, in quanto enti territoriali di area vasta ed elettivi, a quelle del resto del Paese, come recita l’articolo 114 della Carta costituzionale. Che espressamente dice: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città Metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.
Di fatto, il governo regionale ha affidato la gestione della Province, enti ancora elettivi, a dei commissari straordinari fin quando non sarà approvata la legge che attui l’articolo 15 dello Statuto speciale siciliano di cui è da verificare l’attuale compatibilità con la Carta costituzionale.
La levata di scudi contro il governo Crocetta non finisce qui. Gli inquilini di palazzo Minoriti sono intenzionati a resistere e si sono autoconvocati per domani alle 10. Lo si apprende da una nota dell’Ufficio stampa della Provincia. La decisione è stata presa nel corso della seduta del 14 giugno scorso, quella in cui per l’ultima volta è risuonata appunto la campanella.
Dai numerosi interventi, tanto dei consiglieri di destra quanto di quelli di sinistra, è emersa la richiesta unanime che prima di ogni cosa il governo Crocetta deve emanare un decreto di scioglimento e di nomina delle figure commissariali che avranno il compito di dirigere l’ente in questa fase intermedia.
“Con la cessazione dei consigli provinciali – si legge nella nota di palazzo Minoriti – si chiude il sipario su un pezzo di storia della Provincia e si affaccia una nuova era, in attesa di indicazioni che facciano capire quale sarà la trasformazione dell’Ente a seguito delle disposizioni della legge regionale n.278 “Norme transitorie per l’istituzione dei Consorzi di Comuni”, varata dalla Regione Siciliana nello scorso mese di marzo. La maggior parte dei consiglieri non ha gradito l’essere stati “licenziati” da una semplice nota a firma dell’assessore regionali agli Enti locali. Per questo rivendicano, quale atto formale amministrativo, la notifica all’Ente del decreto di scioglimento”.
“La durata in carica del Consiglio provinciale – prosegue la nota – è stabilita in cinque anni. A riguardo si sottolinea come, pur mancando nell’ordinamento regionale degli enti locali una espressa disposizione che stabilisca il dies a quo della decorrenza del quinquennio, la soluzione del quesito non possa che essere desunta facendo riferimento alla data delle elezioni. Nella nota si chiarisce, inoltre, che sul punto, autorevole giurisprudenza amministrativa (cfr ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 23.1.2012, n.273) ha affermato che “Il dies a quo per la decorrenza del mandato, ossia del periodo di durata di una carica è determinato dall’atto di nomina o da quella di elezione, indipendentemente dalla data in cui le funzioni siano effettivamente assunte mediante l’insediamento”.
“Nel corso della seduta di venerdì 14 giugno, ricca di interventi – si legge ancora – il presidente Leonardi ha voluto riassumere quanto prodotto dai lavori di aula attraverso una Relazione di fine mandato dell’attività consiliare, allegata agli atti. Trecentotrentotto Consigli ordinari, quarantotto Consigli straordinari (per un totale di 386 sedute); cinquecentosessantasei interrogazioni e centoventinove interpellanze, quattrocentotrentanove le deliberazioni adottate. Infine, come atto conclusivo della seduta, in diversi hanno deciso di auto riconvocarsi (senza percepire il gettone di presenza), martedì 18 giugno alle ore 10.00 a Palazzo Minoriti”.
Revochiamo da remoto l’acceso al nostro account su Android, senza installare alcuna app
Revochiamo da remoto l’acceso al nostro account su Android, senza installare alcuna app:
Non vi proponiamo una tecnica esoterica o di difficile attuazione, ma un semplice procedimento che magari molti di voi avranno già utilizzato, ma che è bene ribadire, perché in caso di furto/smarrimento del proprio smartphone, impedire l’accesso a Gmail e Play Store è senz’altro una delle prime cose da fare.
La cosa è in realtà molto semplice: vi basterà andare a questo link autenticandovi con l’account che usate sul vostro Android (se non dovesse funzionare andare prima qui e cliccate su “verifica autorizzazioni”), e revocare tutti gli accessi ad Android Login Service. Nel giro di pochi minuti sul vostro Android comparirà un avviso tra le notifiche, chiedendovi di effettuare nuovamente il login, altrimenti non potrete accedere al vostro account.
Non vi ridarà insomma indietro il vostro telefono, ma nessuno, senza conoscere la password, potrà accedere alla vostra mail (quelle già sincronizzate sul dispositivo saranno però ancora accessibili, ma non potranno arrivarne di nuove, né sarà possibile inviare mail a vostro nome) o prosciugarvi il credito sul Play Store, e tutto in pochi semplici passaggi che non richiedono di avere alcuna particolare app installata.
(Continua...)
Leggi il resto di Revochiamo da remoto l’acceso al nostro account su Android, senza installare alcuna app
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I soldi del pd
I soldi del pd:
"Il bilancio del Pd: in rosso di 7 milioni, anche se prende 29 milioni di finanziamento pubblico. La direzione nazionale del Partito Democratico ha approvato la relazione del Tesoriere Misiani sul rendiconto di bilancio chiuso al 31 dicembre 2012. Ad una prima occhiata saltano subito all'occhio le voci in entrata che arrivano alla cifra di 37.509.616 euro, così suddivise: 7.833.300 come contributo per il rimborso delle spese elettorali della Camera; 8.551.382 rimborso spese elettorali del Senato; 6.835.358 rimborso spese del Parlamento Europeo; 6.014.018 rimborso spese Consigli regionali; 4.836.518 contributi da parlamentari; 3.420.040 contributi da persone fisiche. Per quanto concerne le spese, la cifra totale è di poco superiore ai 45 milioni di euro, con voci in uscita significative per: spese elettorali, di propaganda e comunicazione politica (circa 9 milioni di euro); consulenze e collaboratori (2 milioni di euro); viaggi e trasferte (1,5 milioni); costi per il personale dipendente (12 milioni di euro); sostegno a strutture ed associazioni (oltre 10 milioni di euro). Tra le spese spiccano anche i quasi 2 milioni di spese postali e gli oltre 700mila euro di utenze, mentre per gli "incassi" delle primarie si rimanda alla coalizione "Italia Bene Comune" e si segnalano in appositi paragrafi le attività svolte durante la Festa Nazionale del Pd ed i "rapporti" con le società di cui il partito è azionista al 100%" Segnalazione da FanPage
"Il bilancio del Pd: in rosso di 7 milioni, anche se prende 29 milioni di finanziamento pubblico. La direzione nazionale del Partito Democratico ha approvato la relazione del Tesoriere Misiani sul rendiconto di bilancio chiuso al 31 dicembre 2012. Ad una prima occhiata saltano subito all'occhio le voci in entrata che arrivano alla cifra di 37.509.616 euro, così suddivise: 7.833.300 come contributo per il rimborso delle spese elettorali della Camera; 8.551.382 rimborso spese elettorali del Senato; 6.835.358 rimborso spese del Parlamento Europeo; 6.014.018 rimborso spese Consigli regionali; 4.836.518 contributi da parlamentari; 3.420.040 contributi da persone fisiche. Per quanto concerne le spese, la cifra totale è di poco superiore ai 45 milioni di euro, con voci in uscita significative per: spese elettorali, di propaganda e comunicazione politica (circa 9 milioni di euro); consulenze e collaboratori (2 milioni di euro); viaggi e trasferte (1,5 milioni); costi per il personale dipendente (12 milioni di euro); sostegno a strutture ed associazioni (oltre 10 milioni di euro). Tra le spese spiccano anche i quasi 2 milioni di spese postali e gli oltre 700mila euro di utenze, mentre per gli "incassi" delle primarie si rimanda alla coalizione "Italia Bene Comune" e si segnalano in appositi paragrafi le attività svolte durante la Festa Nazionale del Pd ed i "rapporti" con le società di cui il partito è azionista al 100%" Segnalazione da FanPage
L'Italia ripudia la guerra, e i partiti?
L'Italia ripudia la guerra, e i partiti?:
"Evitare la partecipazione dell'Italia al programma F35 è uno degli obiettivi annunciati del M5S. Da quando siamo entranti in Parlamento fino ad oggi i nostri sforzi si sono concentrati nel tradurre in atti legislativi le proposte costruite assieme ai cittadini. Il 30 maggio 2013 abbiamo presentato una mozione che impegni il governo a non acquistare i 90 cacciabombardieri che costerebbero ai cittadini italiani 12,9 miliardi di euro (costo destinato a salire). La suddetta mozione è stata sottoscritta dai 109 deputati del M5S, da Sel e da soli 13 parlamentari del pdmenoelle. Inizialmente gli "onorevoli" del pdmenoelle erano favorevoli alla mozione ma una volta firmato l'inciucio con il pdl molti hanno cambiato idea, alcuni hanno addirittura ritirato la firma già depositata e nessuno di loro si è presentato in conferenza stampa. L'Italia vive una crisi senza precedenti e neanche 15 giorni fa il governo del Partito Unico ha respinto una mozione del M5S che voleva il ripristino dei fondi a scuola, università, ricerca e cultura. In quell'occasione non avete accolto la nostra richiesta per mancanza di copertura finanziaria, vedremo se riuscirete a trovarla per l'acquisto di queste armi da guerra che vanno contro l'art. 11 della Costituzione." M5S Camera
"Evitare la partecipazione dell'Italia al programma F35 è uno degli obiettivi annunciati del M5S. Da quando siamo entranti in Parlamento fino ad oggi i nostri sforzi si sono concentrati nel tradurre in atti legislativi le proposte costruite assieme ai cittadini. Il 30 maggio 2013 abbiamo presentato una mozione che impegni il governo a non acquistare i 90 cacciabombardieri che costerebbero ai cittadini italiani 12,9 miliardi di euro (costo destinato a salire). La suddetta mozione è stata sottoscritta dai 109 deputati del M5S, da Sel e da soli 13 parlamentari del pdmenoelle. Inizialmente gli "onorevoli" del pdmenoelle erano favorevoli alla mozione ma una volta firmato l'inciucio con il pdl molti hanno cambiato idea, alcuni hanno addirittura ritirato la firma già depositata e nessuno di loro si è presentato in conferenza stampa. L'Italia vive una crisi senza precedenti e neanche 15 giorni fa il governo del Partito Unico ha respinto una mozione del M5S che voleva il ripristino dei fondi a scuola, università, ricerca e cultura. In quell'occasione non avete accolto la nostra richiesta per mancanza di copertura finanziaria, vedremo se riuscirete a trovarla per l'acquisto di queste armi da guerra che vanno contro l'art. 11 della Costituzione." M5S Camera
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